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“DISINCANTO” – LA RIVOLUZIONE DI GROENING

written by Arianna Giancola Marzo 30, 2022
Disincanto - Copertina

Ed eccoci a parlare di Disincanto (Disenchantment), la serie di Matt Groening per Netflix in onda sulla piattaforma streaming dal 2018 arrivata oggi alla sua quarta stagione.

Tiabeanee (Bean, per gli amici) è la ribelle principessa di Dreamland, un regno medievale di origine nordica guidato da suo padre, l’irascibile Re Zøg.

Alla vita di corte, Bean preferisce di gran lunga le bevute al pub e le partite a carte, specie se condite da qualche bella scazzottata.

La sua vita cambia (in meglio o in peggio è da stabilire) quando fa la conoscenza di un giovane elfo di nome Elfo e viene maledetta con l’assegnazione di un demone personale: Luci.

Da quel momento, tra omicidi, alcool, invasioni barbariche, alcool, gite all’inferno e tanto alcool la principessa affronterà parecchie avventure che la porteranno a combattere per i suoi amici, il suo regno e, soprattutto, la sua sopravvivenza.

La serie è andata in onda in contemporanea con l’America a partire dal 18 agosto del 2018, con due stagioni, divise in due parti l’una, da 10 episodi ciascuna.

Pensiamo sia inutile dirlo, ma il creatore della serie, Matt Groening, è un fumettista, disegnatore e produttore televisivo statunitense, conosciuto soprattutto come papà di I Simpson e Futurama.

Forse, invece, saranno in pochi a conoscere Life in Hell, il suo fumetto a strisce pubblicato sin dal 1980 e ribattezzato nel 2007 in Life is Swell.

La raccolta delle sue strisce è arrivata in Italia nel 2019 con la pubblicazione di un volume intitolato Il Grande Libro dell’Inferno da parte della Coconino Press.

I Simpson e Futurama sono forse fra le produzioni più conosciute e longeve della storia dell’animazione (nonostante le difficoltà incontrate dal secondo titolo) e rappresentano dei veri e propri cult nel cuore di più di una generazione.

E questa è, forse, una delle cause che hanno determinato una così diversa accoglienza, da parte della critica e del pubblico, per Disincanto. Che, poi, è in parte lo stesso tipo di problema che ha reso traballante la produzione di Futurama.

Ma partiamo dall’inizio e, soprattutto, dal nostro giudizio, perché a noi piace. E pure tanto.

Lontano dallo schema delle infinite puntate autoconclusive e anche da quello in cui le singole avventure si riallacciano solo vagamente alla sottotrama che funge da filo conduttore, Disincanto racconta un’unica lunga storia.

I protagonisti crescono e si evolvono, modificando pian piano il loro modo di essere e di pensare come conseguenza delle vicende che vivono.

Prendiamo Bean, la protagonista.
Ribelle e scanzonata, “maschiaccia” e progressista e con un carattere al limite della follia autodistruttiva, è il prototipo della vera adolescente in lotta con le tradizioni e le imposizioni, ma soprattutto con se stessa.

Nelle prime due stagioni, il suo unico pensiero è di cercare un modo per essere libera, per sfuggire ai suoi doveri e alle responsabilità che il suo ruolo comporta.

Eppure, trovandosi poi a dover affrontare la “quasi” morte del padre e la sua successiva malattia mentale, accetta che ci siano doveri ai quali non si può sfuggire e prende di petto le sue responsabilità riuscendo al contempo a restare se stessa.

Da questo punto di vista è molto interessante vedere come si evolva, nel tempo, anche il suo rapporto col padre. Da figura oppressiva e dittatoriale, Zøg diviene poi una guida, una figura di riferimento con la quale la ragazza può rapportarsi da pari a pari, da adulto ad adulto.

Questa trasformazione avviene in modo graduale e coerente, a seguito di una maturazione vissuta da entrambe le parti in cui gli spettatori trenta-quarantenni (che poi è il target di riferimento della serie) non possono non identificarsi.

Lo stesso discorso evolutivo vale anche per altri personaggi.

In modo particolare Luci, che dovrebbe essere il Bender della situazione (non diciamo Bart, perché si tratta di due personaggi completamente differenti) passa dallo stereotipo del demone tentatore a personaggio reale.

Rimane di certo un cattivo ragazzo, ma raggiunge una profondità di pensiero (e, diciamolo, in alcuni casi di vero e proprio pathos) che a ben rifletterci lascia stupiti.

Persino Elfo, che all’inizio pensavamo avrebbe dovuto rappresentare solo la macchietta comica, il dolce tontolone innamorato della protagonista, inizia invece ben presto a vivere di vita propria e a dimostrare un carattere sfaccettato e umano.

E la cosa più bella, è che potremmo parlare allo stesso modo di ogni singolo personaggio della serie (salvo, forse, Turbish).

Come dicevamo in precedenza, ci sono state molte critiche rivolte alla serie, fra cui due delle più importanti sono legate all’ambientazione e all’umorismo (che non c’è).

Si dice che il mondo di Disincanto voglia mettere in ridicolo le usanze tipiche del Medioevo e, soprattutto, del Medioevo fantasy. In realtà, però, noi non riusciamo a dare questa interpretazione.

Dreamland non è il regno dei sogni, ma degli incubi. Un luogo dove esistono la povertà, la malattia e lo sfruttamento. E se muori, sei morto (certo, se non sei uno dei protagonisti).

Dreamland è la distorsione del romanticismo, dove il vero amore non esiste e il solo modo per sopravvivere alla depressione è l’utilizzo dell’ironia.

Ironia, non comicità.

Sembra quasi che alcuni abbiano continuato a guardare all’animazione di Groening con gli stessi occhi del 1991, quando I Simpson approdarono sulle nostre sponde.

Ma con questa, serie l’autore ha portato a compimento la rivoluzione che aveva iniziato con Futurama.

Per quanto, infatti, molti si intestardiscano a definirla una “serie comica malriuscita”, la realtà è che non vuole esserlo e la comicità al suo interno è relegata a qualche battuta.

Disincanto è il mondo del surreale e del grottesco; è il capovolgimento della fiaba, dove la matrigna è buona, i principi sono stupidi e boriosi maiali, la stienza batte la magia (almeno per ora) e il diavolo è il tuo migliore amico. E innamorarsi di una sirena o di un’orsa non significa morte certa.

Persino la grafica, imperfetta e talvolta stonata, contribuisce a creare quest’effetto, con la principessa dai capelli bianchi e i dentoni da coniglio accusata dalla madre di essere grassa.

Disincanto è una storia che va vista con gli occhi disincantati (e non è una battuta) dell’adulto, che dietro il velo della fantasia riesce a vedere le storture e le imperfezioni del mondo reale dove non c’è spazio per l’innocenza.

Ma dove, per fortuna, gli amici riescono ancora a starti accanto.

E se non vedete tutto questo, c’è una buona possibilità che in realtà siate Mekimer.

NB: Le immagini della sigla iniziale cambiano a ogni puntata, dando un’assaggio di quello che accadrà

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