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“ARCANE” DA GAME A SERIE – RECENSIONE

written by Francesco Lodato Novembre 24, 2021
Recensione Arcane - Copertina

Arcane: League of Legends è il titolo della serie televisiva animata di cui ultimamente tutti parlano.

Un lampo di genio per una prima stagione, composta da nove episodi, prodotta direttamente per lo streaming dalla piattaforma Netflix.

Prima di addentrarci nella disamina del prodotto, vogliamo precisare un fatto: serie televisiva animata non vuol dire serie animata. Il primo e principale pregio di Arcaneè quello di essere concepita e realizzata (soprattutto per quanto riguarda la scrittura) esattamente come una moderna serie televisiva.

Caso unico, forse apripista per un nuovo genere, trasferisce in digitale lo stile della serialità americana lasciando che l’animazione risulti complementare alla narrazione verbale.

Basata su League of Legends, un gioco del 2009 genere MOBA (Multiplayer Online Battle Arena), la serie animata riscrive la continuità del videogame almeno per i personaggi provenienti da Piltover e Zaun (una delle molte regioni di provenienza dei Campioni), fungendo anche prequel del gioco stesso.

Sebbene i protagonisti siano gli stessi, caratterizzati graficamente in maniera quasi identica, le similitudini tra i due media finiscono qui.

Per quanto dagli annuali video di presentazioni inerenti le Seasonsdi gioco venga tratto l’aspetto di ciascun “Campione”, Arcane non cade nello stesso errore di molti altri prodotti tratti da videogiochi, rinunciando a replicare la dinamica delle squadre da cinque giocatori in gara tra loro (dove ognuno controlla il  proprio Campione dotato di abilità uniche ), costruendo invece una narrazione organica.

La serie è stata realizzata in collaborazione da Riot Games e, soprattutto, dalla francese Fortiche (studio di animazione con sede a Parigi). Una collaborazione già consolidata nella realizzazione sia del primo videoclip di “Warrior” degli Imagine Dragons (autori anche di “Enemy”, sigla di Arcane) che nella costruzione dei trailer che introducono le Seasons, ma soprattutto per la creazione delle K/DA (e del loro video musicale), una band K-Pop totalmente virtuale, composta da alcune protagoniste femminili di League of Legends.

La storia racconta le avventure e lo scontro tra VI (Violet interpretata da Hailee Steinfeld) e Jinx (Powder interpretata da Ella Purnell), partendo dall’infanzia fino alla tarda adolescenza delle due sorelle, lasciando muovere intorno a loro sia altri personaggi presenti nel gioco, come Caitlyn, Jayce, Viktor, Silco o Heimerdinger, che quelli creati appositamente per la serie.

Una bellissima Jinx realizzata da Viviana Carollo, su Instagram Viv.iannart

Sullo sfondo, il conflitto sociale tra le classi della luminosa e oscura Piltover, una versione Arcanepunk della nostra Londra vittoriana, con la contrapposizione tra le torri superiori della “città del progresso” e i vicoli soffocanti della “città sotterranea”.

Gli episodi mettono in scena lo scontro tra il progresso utopico e privo di freni, spinto dalla Hextech scoperta da Jayce, e l’esistenzialismo di un’umanità abbandonata a se stessa. Disegno tradizionale e CGI si mescolano per portare in vita il mondo di Runeterra e i suoi abitanti, coinvolti in una trama che, per quanto semplice, tiene lo spettatore incollato allo schermo senza mai deluderlo. Anche nei momenti più prevedibile e nelle svolte più ovvie, gli autori sono riusciti a inserire piccoli dettagli narrativi utili per rendere tridimensionali i personaggi e le loro azioni/reazioni.

Piccoli gesti, silenzi prolungati, postura del corpo e sguardi dei protagonisti sono gli stessi che potremmo aspettarci da attori in carne e ossa. Resi ancora più incisivi da un utilizzo sapiente delle inquadrature, dei movimenti di camera e delle trovate grafiche, capaci di rendere eccezionali momenti cruciali come il duello tra Ekko e Jinx o la lunga sequenza finale che vede quest’ultima sprofondare nella propria follia. 

Proprio i personaggi e la loro caratterizzazione, il loro arco di trasformazione, rende appassionante la visione della serie, che sebbene giochi sul salto temporale per esplorare la crescita delle protagoniste, molto più marcata ovviamente in Jinx che, traumatizzata nei primi episodi, finisce per perdere il senno, impazzendo definitivamente negli ultimi capitoli della serie e trasformandosi da semplice squilibrata anarchica in una sorta di folle, visionaria, geniale e spietata Joker al femminile (nella versione fumettistica di “Arlecchino del crimine”).

Al contrario, VI è una dura da cuore tenero, abituata a usare i pugni per sopravvivere nelle strade della città sotterranea. È una combattente dalla volontà d’acciaio che dal padre putativo (le ragazze sono infatti presentate come orfane) eredita il manto di protettrice dei vicoli, una sorta di giustiziera che si aggira per i tetti della città vecchia punendo i malvagi.

Intorno a loro, come già detto, si sviluppano il delirio superonimico di Jayce, la ricerca spasmodica di Viktor per una cura che lo salvi dalla morte, la ricerca identitaria di Caitlyn e l’antica saggezza dell’anziano Heimerdinger. Tutte sottotrame che contribuiscono alla modellazione dell’intreccio, portando alla crescita della narrazione senza mai appesantirla.

Fluida, dinamica e morbida, l’animazione rende meglio di quanto avrebbero potuto fare degli attori in carne e ossa, costruendo piano piano i personaggi che, da giovani scavezzacollo, finiscono per diventare visivamente quasi identici alle proprie controparti nel gioco (qualcuno ha detto “martello energetico gigante”), contribuendo alla crescita organica dei protagonisti.    

La musica è un altro elemento caratteristico della narrazione, usata qui non come semplice accompagnamento alle scene, ma come elemento fondamentale (dopotutto il juke-box del “Last Drop” apre ogni episodio), rendendo dinamiche le sequenze di combattimento, quasi fossero dei veri e propri video musicali, conferendo maggiore epicità a ogni scontro. 

Dalle alte torri alle profondità dei vicoli, Piltover rappresenta la massima espressione dell’Arcanepunk (genere di cui parleremo più avanti), costruendo intorno ai personaggi un universo credibile e organico di luoghi che partono dallo Steampunk per evolversi in qualcosa di completamente diverso una volta introdotti gli elementi magici della Hextech. Una sorta di fusione tra la cosmopolita Ravnica, città delle gilde, nata nel 2005 per la Lore del cardgame “Magic the Gathering” e Sharn, la città delle torri presente nella storica ambientazione arcanepunk “Eberron”, creata nel 2004 per il rolegame Dungeon & Dragons.   

Pensato per un pubblico di non giocatori, Arcane è un prodotto fruibile tanto da chi adora le battaglie di League of Legends, che può divertirsi con i mille riferimenti più o meno palesi al gioco, quanto da chi vuole semplicemente godere di una bella serie. Si tratta di un prodotto che cavalca l’onda (forse dovrei dire lo tsunami), del successo videoludico internazionale, per spingere un prodotto perfettamente equilibrato per qualsiasi spettatore dai sedici anni in su. Sebbene, infatti, a tratti impieghi un linguaggio esplicito e mostri immagini emotivamente forti, risulta abbastanza godibile senza sforare nella violenza gratuita. Gli stessi scontri e duelli seguono una progressione narrativa, passando da semplici scazzottate di quartiere (sempre rese interessanti grazie a una notevole perizia registica), dando proprio l’idea di crescita della storia come dei personaggi, le cui avventure riprenderanno lì dove si sono fermate nella seconda stagione di Arcane: League of Legends”.

Mettendo ora da parta la componente strettamente informativa della recensione, addentriamoci maggiormente nella costruzione dell’universo di Arcane partendo da un punto fermo: convertire in personaggio organici e tridimensionali delle skin di gioco create appositamente per il marketing non era un’impresa facile. Dopotutto, sebbene esistano degli accenni, la cosiddetta “Lore” del gioco non era mai stata approfondita più di tanto e se da un lato ai player più competitivi non si sono mai interessati più di tanto a qualsiasi cosa che vada oltre le statistiche o l’estetica dei propri Campioni, esiste invece una cerchia di appassionati che gradirebbe e aspetta l’uscita di un gioco che permetta di esplorare le meraviglie di Runeterra.

Un po’ supereroi con tratti manga, pensati per fare impazzire i Cosplayer, l’aspetto di ciascun Campione rispecchia la fusione concettuale tra Oriente e Occidente già iniziata con Warcraft (del quale League of Legends è un derivato) e perseguita, tra gli altri, da uno degli artisti grafici più importanti del nuovo millennio: Joe Madureira.

Se le armi Hextech indossate da VI hanno un’aria familiare, probabilmente è perché vi ricordano i “Guanti di Aramus”, creati dall’autore per il suo Battle Chaser, uno dei primi (forse proprio IL primo) fumetto Arcanepunk americano, edito dalla Wildstorm nel 1997.

Ex disegnatore degli X-Men, Madureira (in arte Mad), è un fanatico videoludico (sua la direzione artistica dei primi due capitoli della saga di Darksiders), celebre per le armi e gli equipaggiamenti decisamente sproporzionati rispetto al possessore, come per la costruzione visiva di oggetti che mescolano scienza e magia. Un artista che da anni si dedica quasi esclusivamente alla produzione di videogiochi e sta attualmente lavorando su Ruined King: a League of Legends story.   

Non potendo affermare con certezza se sia stato lo stile di Madureira a influenzare l’evoluzione visiva di Warcraft (passata poi a League of Legends) o viceversa, basta un’occhiata per identificare i protagonisti del suo incompiuto Battle Chaser con alcuni dei Campioni di LoL (su tutti Red Monika e Miss Fortune). Per questo motivo, trattandosi di uno dei primi autori ad avere illustrato “un universo dove scienza e magia coesistono, completandosi a vicenda” (definizione dell’arcanepunk), Mad ha indubbiamente influenzato l’immaginario di questo stile retrofutistico (presente in romanzi come La Bussola d’Oro), che rappresenta una variante del classico steampunk da cui la serie Arcane prende a piene mani per costruire il proprio ambiente e dare vita ai propri Campioni. 

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