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IL CARO, VECCHIO ZIO CLO

written by Redazione Aprile 27, 2021
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Di Francesco Lodato

Lo zio Clo Wo non è mai stato uno con tutte le rotelle a posto.
Mi ricordo ancora lo strano orologio con cui andava in giro, o le lenti scure create per proteggere gli occhi dal sole estivo. Per gli altri componenti della famiglia erano stramberie appena sopportabili, ma per me e gli altri ragazzini erano oggetti curiosi e affascianti.

Ci piaceva stargli intorno e il mio primo lavoro, appena raggiunti i sessanta centimetri di un vero Gnomo, fu consegnare i suoi marchingegni a quegli umani così folli da credere che le sue invenzioni funzionassero davvero. Strano a dirsi, nonostante i numerosi incidenti, gli abitanti delle città vicine non smettevano di commissionargli nuovi meccanismi per i mulini a vento, per le porte degli edifici, per le stalle e perfino per illuminare le strade principali.

Non capitava spesso che qualcuno parlasse degli gnomi, ma grazie allo zio la loro piccola comunità era segnata sulle mappe dei regni confinanti.
Un onore, per un popolo che ufficialmente non esiste.

Noi non abbiamo e non reclamiamo un regno nostro anzi, a dire il vero le terre non ci interessano. Viviamo negli spazi vuoti tra le vite degli altri, sui confini dei territori civilizzati, lontani e al contempo vicini. Creiamo comunità al limitare dei boschi elfici, delle paludi orchesche, sulle montagne che ospitano miniere naniche e qualche volta anche all’interno delle città umane.

Tuttavia, restiamo invisibili. Sarà per la statura… Sta di fatto che gli altri sembrano non accorgersi di noi, eccetto i goblin, il che è un vantaggio per la nostra sopravvivenza. Questo l’ho capito solo dopo che la mia casa è stata rasa al suolo e il mio villaggio saccheggiato da chi voleva le invenzioni dello zio Clo Wo senza doverne pagare il prezzo. Essere sulle mappe dopotutto non è sempre vantaggioso e quando i giunsero i razziatori, tutti comprendemmo il nostro errore.

Non ricordo tuttora bene cosa sia successo, dopo sei settimane mi fa ancora male la testa e fatico a controllare le mie nuove mani, ma lo zio dice che andrà tutto bene e io mi fido.

Anche i miei cugini se la sono cavata, almeno credo. Quando li guardo, immobili nei loro nuovo corpi di ferro e legno, mi sembra ci sia qualcosa di sbagliato. Lo so, adesso siamo alti, forti e gli umani non potranno più farci del male, ma il mio vecchio corpo mi manca.

Clo Wo ci ha salvati. Ha spostato le nostre menti nei servitori agricoli, automi da lui creati per coltivare i campi. Siamo diventati tutti delle stramberie a orologeria, tutti con un cuore di rondelle e uno stomaco di ruote dentate. Lui dice di stare tranquilli, di non preoccuparsi e io gli credo.

Eppure, la notte, mentre siamo immobili nelle nostre alcove, qualcuno dei miei cugini piange e si lamenta rimpiangendo ciò che era, ma io dico che l’importante è essere vivi. Perché è quello che siamo, no? Clo Wo dice di sì e per me questo basta.

Ora nessun umano potrà più farmi del male, nessuna spada potrà ferirmi o cavaliere corazzato calpestarmi. È un bel vantaggio: non siamo più indifesi, ma questo non mi rallegra. In verità niente lo fa. Non sento nulla, non provo nulla se non nostalgia. È come se fossi stato svuotato di qualcosa, ma forse non è importate, passerà. La cosa fondamentale è essere ancora vivo, almeno così dice lo zio e di lui, io, mi fido.

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