Bentrovati, amici del fantasy, con un nuovo appuntamento del #lunedìdellerecensioni.
Oggi torniamo a navigare nella distopia, con Il Tempo delle Stabilizzanti, romanzo breve di Marco Della Mura, edito da Delos Digital per la collana Dystopica.
L’autore
Marco Della Mura ha passato gli anni universitari tra la Norvegia, la Finlandia, il Nepal e l’Italia, per poi laurearsi in Management della Sostenibilità e del Turismo. Oggi vive a Trento, da dove organizza trekking e vacanze olistiche in giro per l’Italia.
A partire dal 2014, ha auto-pubblicato la tetralogia epic fantasy Il Destino dei Ruma, due racconti brevi dello stesso genere: Il Cuore del Gigante e Il Respiro dell’Abisso, un romanzo post-apocalittico Il Viaggio del Cercatore e una raccolta di poesie: Vaghe Epifanie.
In precedenza, ha collaborato con la web magazine Metalforce scrivendo articoli e recensioni. Scende spesso in piazza a manifestare con La Murga, un collettivo antifascista, transfemminista, ambientalista e contro ogni prevaricazione.
Nelle sue opere cerca sempre di veicolare messaggi di ambientalismo e lotta sociale.
Trama
A causa del collasso climatico da loro stessi provocato, gli umani sono l’unica specie sopravvissuta su una Terra in rovina e si sono rinchiusi in una città inaccessibile. Le Stabilizzanti sono delle intelligenze artificiali create secoli prima dai sopravvissuti per ripulire il Mare Padano dal bitume. Eri è una di loro e insieme alle sue compagne naviga sul Motopontone, completamente dedita al suo lavoro. Le emozioni insite nella loro programmazione le spinge a lavorare in modo sempre più efficiente, per raggiungere la perfezione ed essere finalmente ammessa nella città degli umani.
Ma dopo tanti secoli qualcosa sta cambiando e le domande senza risposta diventano troppe per poterle ignorare.
Storia e Stile
Nel breve volgere di poche pagine, Marco Della Mura crea un racconto che riesce a toccare le corde più profonde delle paure e dei desideri umani. Parla di filosofia, di etica, persino di religione, osservando il mondo con occhi artificiali che hanno però la purezza di quelli di un bambino.
La storia, in sé, non può definirsi originale, perché sfrutta appieno degli archetipi più basilari della narrazione: la visione distopica di un mondo in rovina, il seme della domanda fondamentale sull’esistenza che diviene propulsore del cambiamento e il monito ancestrale a ad agire, a svegliarsi dal torpore e a salvare il salvabile.
Nonostante questo, la narrazione conquista il lettore. Pagina dopo pagina, seguiamo i passi della protagonista verso l’acquisizione della conoscenza; viviamo i suoi dubbi, riflettiamo sulle sue domande e diffidiamo della sua fiducia. Perché, al contrario di lei, conosciamo la natura umana e anche se sospendiamo l’incredulità per lasciarle lo spazio di vivere la sua storia, qualcosa, nel profondo, ci prepara alla verità.
Proprio l’aggrapparci a quella sospensione, allora, è ciò che ci consente di riflettere sulle parole e sui pensieri della protagonista. Ad esempio:
“La bellezza sta nella monotonia. E nella vita vissuta in modo binario.”
Se una frase del genere, all’inizio, può infatti strappare un sorriso ingenuo, facendoci dire che solo una macchina potrebbe pensarlo, lasciandolo sedimentare si giunge ad altra conclusione. Quanto spesso sottovalutiamo il valore di una vita tranquilla e pacifica? Quanto spesso ci lamentiamo della routine salvo poi rimpiangerla quando la vita ci mette davanti agli affanni?
Ed è questa la maggiore forza della scrittura di Della Mura: la capacità di spingere alla riflessione, di forzare lo sguardo del lettore ad andare oltre il primo impatto.
Per farlo, si affida a uno stile semplice, pulito, diretto: potremmo definirlo essenziale. Le descrizioni sono ridotte al minimo, risultando tuttavia evocative e d’impatto, lasciando spazio alla narrazione degli eventi e alla vita emotiva della protagonista.
Anche i dialoghi hanno una loro peculiarità: come nelle opere di Platone, sono tutti caratterizzati da un approccio dialettico in cui i personaggi si interrogano costantemente.
Insomma, uno stile unico, classico e innovativo allo stesso tempo, ingenuo e profondo, con un occhio sul passato e uno sull’evitabile (si spera) futuro.
Ambientazione e personaggi
L’ambientazione post-apocalittica, ammettiamolo, ha sempre il suo fascino.
Marco Della Mura, però, riesce ad andare un gradino oltre, mostrandocela attraverso gli occhi di un’intelligenza artificiale che, paradossalmente, potremmo considerare “pura e incontaminata”.
Eri, la protagonista, ha innegabilmente fede. Fede nella sua missione, fede nei suoi creatori e nella ricompensa promessa.
Il mondo che la circonda è un deserto vuoto, il suo (anzi, il loro) compito apparentemente senza fine. Ma, nonostante questo, lei crede che un mondo migliore sia possibile. La cosa più affascinante è che la tensione alla perfezione non è tanto il frutto della sua programmazione (cosa che altrimenti renderebbe le sue compagne in tutto e per tutto simili a lei), ma la ricompensa finale a tutti i suoi sforzi: l’accesso alla città di Verde e Vetro.
È il suo desiderio che la spinge avanti, è la fiducia cieca e assoluta. In caso contrario, infatti, anche lei come altre avrebbe cercato la risposta alla domanda: perché non abbiamo paura?
In questo, Eri si distingue dalle altre Stabilizzanti. Quando esse comprendono infatti che la paura non è compresa nella loro programmazione affinché la missione diventi elemento prioritario anche a discapito dell’autoconservazione, qualcosa in loro cambia.
A Eri servirà molto più tempo.
La sua presa di coscienza, però, sarà molto più d’impatto: non sarà una semplice consapevolezza della propria esistenza, ma un abbattimento di idoli, uno squarciare di veli. Un andare oltre l’immagine del Paradiso per scoprire la realtà dietro il dipinto.
Ed è allora che mostra la sua grandezza e la sua vera umanità. Il paradosso dell’amore perduto perché a senso unico, la realizzazione dell’amore per sé.
“Che esistenza è un’esistenza passata a cercare di meritare l’amore di qualcun altro?”
Conclusioni
Il Tempo delle Stabilizzanti di Marco Della Mura non è un romanzo qualsiasi. È la storia della caduta umana, della scoperta di un’anima, dell’abbattimento degli idoli per salvare l’unica cosa che conta davvero.
È un’opera fuori dal coro, che ci fa scoprire un autore di grande talento che speriamo di avere la possibilità di continuare a seguire da vicino.