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L’ORCO DELLA PALUDE

written by Redazione Aprile 8, 2021
L'orco della palude - Lodato - Copertina

Racconto di Francesco Lodato

La pesante lama dell’ascia bipenne si abbatte sul collo dell’elfo.
Senza aspettare che il cadavere si accasci al suolo, l’orco scatta in avanti, uccidendo un altro invasore con un singolo fendente della propria arma.

Nell’aria nebbiosa può sentire i rantoli dei morenti e le grida dei propri compagni; sul terreno fangoso nota i resti semi sommersi di amici e nemici.
L’acqua melmosa è rossa per il sangue degli elfi, ma non è ancora finita. Le creature dalle orecchie a punta sono infide, amano nascondersi invece di combattere e questo li rende estremamente pericolosi.

Raagh Ruhul non è un guerriero, potrà anche possedere la corporatura muscolosa e robusta della propria gente, ma non ama la guerra. In realtà sono pochi ad apprezzarla davvero, un orco ama una bella rissa, una zuffa, un duello, ma non uno scontro come quello. I trucchi e gli inganni vincono le battaglie, non la forza, l’onore o l’orgoglio marziale.
Ma nonostante la ritengano priva di significato, la guerra li raggiunge continuamente. Che siano nani corazzati, umani a cavallo o elfi ammantati d’incanti, tutti vogliono scacciarli dalle loro terre ancestrali. Vogliono privarli del legame, reciderlo per trasformare il mondo a propria immagine.

Sono degli sciocchi. La grande madre esiste da prima di loro e nessuno ha il diritto di imprigionarla o deturparla: i gambe corte scavano nel suo ventre, gli orecchie a punta la schiavizzano, modellandola con la magia per creare le loro città, convinti di essere in armonia con la terra nonostante ne succhino l’anima senza ritegno. I pelosi, invece, ne deturpano il volto con infiniti campi arati e maestosi castelli.

Tutti loro non riescono a capire.
Li attaccano perché vogliono quel territorio, ma gli orchi non si arrenderanno senza lottare fino all’ultimo respiro. La palude li ha sempre protetti. Da che Raagh abbia memoria, li ha nutriti e accolti; difenderla dagli intrusi è dovere del suo popolo e un orco non fugge mai davanti alle proprie responsabilità ma le affronta a testa bassa, senza esitazione.   

Il suono dei corni elfici sovrasta improvvisamente ogni altro rumore: si stanno ritirando e questo lo preoccupa. In silenzio, lui si immerge fino alle ginocchia per poter sentire bene il fango tra le dita dei piedi nudi. Adesso non è più il momento di lottare, ma quello di ascoltare e lo sciamano respira profondamente, riportando a galla la propria natura primordiale.

Questo è quello che li differenzia dalle razze “civilizzate”, l’essere ancora capaci di sentire la voce della madre, percepirne la sofferenza quando la magia, la sua stessa linfa vitale, viene prosciugata dai maghi elfici per scatenare un incantesimo devastante.
Stolti. Sono solo bambini convinti di essere degli dei.

Raagh non ha tempo per avvertire il resto della tribù. Non può neanche fuggire da ciò che sta per arrivare. Nonostante questo, non cede alla paura. Si inginocchia nel fango ringraziando la terra, felice che le sue spoglie nutriranno nuove forme di vita.
Quando l’inferno di fuoco illumina la notte lui non distoglie lo sguardo: un orco non teme la morte e per questo affronta a testa alta il crepitare delle fiamme che consumano ogni cosa.

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