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INTERVISTA A GIANLUCA COMASTRI: DALLA PASSIONE ALLO STUDIO DELLE LINGUE TOLKIENIANE

written by Redazione Maggio 7, 2019

di Stefania Sottile e Camilla Fontana

Gianluca Comastri, classe 1971, è un grande appassionato di fantasy e, soprattutto, del Professor J.R.R. Tolkien. Talmente appassionato che si è immerso nello studio delle lingue elfiche da lui ideate fino a diventarne un vero esperto. Ha deciso di mettere le sue conoscenze al servizio di noi comuni mortali con il libro “Le lingue degli elfi della Terra di Mezzo”, uscito nel 2016, di cui ha pubblicato poi un volume due nel 2018.

Gianluca è anche socio e prolifico scrittore per la Società Tolkieniana Italiana e uno dei fondatori nonché curatore di Eldalië, un sito che si occupa della diffusione dei contenuti, in qualunque formato essi siano, che riguardando il mondo e le opere di Tolkien.

1. Caro Gianluca, innanzitutto grazie per aver accettato di prender parte a questa intervista. La prima domanda che ti facciamo, com’è un po’ una tradizione per noi, risale alle origini di questa tua passione che abbiamo appena introdotto. Com’è nato il tuo amore per il fantasy e per Tolkien nello specifico? Cosa ti ha colpito di lui?
Grazie a voi per la cortesia di aver proposto questa chiacchierata! Non vorrei rovinarvi la piazza subito, ma per sincerità debbo rispondere che quel che mi ha colpito delle opere di Tolkien è… che non sono “fantasy”! Lessi per la prima volta Il Signore degli Anelli subito dopo la maturità, attorno al 1991, rimanendo stupefatto per un aspetto che mi pareva di intravedere ma di non cogliere del tutto. Dopo un paio di (voraci) riletture a stretto giro, capii meglio: era come aprire una finestra sul mondo immensamente vasto della Terra di Mezzo, abbracciarne con lo sguardo solo una piccola frazione ma consapevoli che oltre l’orizzonte c’è molto altro da vedere e da raccontare. Infatti, poi di lì a poco ebbi modo di procurarmi anche Lo Hobbit, Il Silmarillion e i Racconti Perduti, Ritrovati e Incompiuti e la mia acerba impressione dell’esordio fu confermata in pieno: a differenza degli altri romanzi che avevo letto fino a quel momento, Tolkien raccontava storie che a loro volta erano frammenti di uno scenario ben più ampio, nel tempo e nello spazio. Un altro aspetto che focalizzai solo col tempo è legato al tipo di narrazione: quel che cattura delle vicende dei libri Tolkien è che sono non solo simili, ma strettamente legate con i miti e le leggende che fanno parte anche del nostro patrimonio culturale di europei. Si intravedeva un sottobosco molto più ricco della maggior parte del fantasy comunemente inteso. Così decisi che valeva la pena approfondire, con una certa fatica dato che ai tempi di critica e saggistica su Tolkien in Italia ce n’era ancora scarsa disponibilità e non avevo ancora molta familiarità con l’inglese.

2. Non sei un semplice conoscitore dell’universo Tolkieniano, ma un vero esperto di lingue. Cosa ti ha spinto ad immergerti così a fondo nel mondo nascosto che è la linguistica della Terra di Mezzo? Avevi già delle conoscenze di linguistica pregresse, o hai dovuto costruirtele per imparare i dialetti elfici?
Non avevo la minima idea di dove sarei andato a finire, una volta intrapresa la via della ricerca di approfondimenti. Né avevo ancora il sentore del ruolo primario delle lingue, sebbene usate con una maestria che da principio mi ricordò i motti latini ne Il nome della rosa: così come Eco metteva citazioni che risalivano direttamente alle fonti che consultò per documentarsi sul Trecento italiano e sulla cultura monastica del periodo, allo stesso modo mi sembrò che il Namárië e le invocazioni a Elbereth fossero molto di più di qualche parola esotica arrangiata per dare un tocco caratteristico a certi personaggi. Mi pareva di aver capito che ci fosse uno studio molto particolareggiato, ma non avrei mai pensato di tuffarmici a mia volta, fino a quando non mi capitò il fatto che diede il via a tutta la vicenda successiva: verso la metà degli anni ‘90 mi affacciai al mondo di Internet e presto mi misi alla ricerca di quei documenti su Tolkien e sulle sue opere che in Italia ancora non trovavo. Feci una ricerca sul tema della storia degli Elfi, o qualcosa del genere, e il primo risultato che ottenni fu una pagina del sito Ardalambion. La aprii e scoprii, con una punta di sconcerto, che era una pagina che affrontava sì la storia elfica, ma dal punto di vista linguistico: un po’ irritato e un po’ affascinato, mi misi a leggere avidamente e mi resi conto che avevo trovato la risposta che cercavo in merito al ruolo delle lingue nelle narrazioni, salvo prendere atto che era un ruolo ben più centrale di quello che avessi mai immaginato. Qualche tempo prima mi ero procurato anche l’Antologia di Tolkien curata da Ulrike Killer: in essa vi è anche il saggio Un vizio segreto, in cui il Professore descrive a fondo il suo rapporto con le lingue ricostruite, ma rimasi comunque spiazzato nel constatare che qualsiasi riga scritta riguardo la Terra di Mezzo aveva un profondo fondamento nella filologia. Così non mi rimase altra scelta che proseguire nella lettura delle pagine di Ardalambion, ormai convinto che, se l’approccio di Tolkien era di tipo filologico, la via per capirlo più a fondo era quella di ripercorrerne le orme. Con una certa irritazione, perché voleva dire gettarsi in un filone di studi che fino ad ora mai avevo affrontato con un certo metodo (avevo conseguito la maturità tecnica a indirizzo telecomunicazioni, figuriamoci: sebbene avessi avuto a che fare con docenti di lettere piuttosto preparati, eravamo ben lontani anche solo da quanto si fa al liceo). Però più andavo avanti e più mi appassionavo, aiutato dal fatto che le pagine di Ardalambion contengono anche molti elementi di teoria che permettono di chiarire via via i concetti di base della linguistica – che poi comunque dovetti approfondire in seguito con letture mirate a carattere più generale.

3. Tre anni fa ormai hai pubblicato il primo volume de “Le lingue degli elfi della Terra di Mezzo”. Nel 2018 hai pubblicato il secondo volume. Come presenteresti questa tua opera ad un lettore ignaro? E cosa ti ha spinto a scriverla?
Fortunatamente negli anni ho avuto varie occasioni per parlare di questi argomenti a dei lettori, magari anche a conoscenza del corpus tolkieniano, ma spesso non versati nelle conoscenze di linguistica. Ho più o meno sempre raccontato qualcosa di simile alla risposta precedente: riferivo cioé la mia esperienza di lettore e come avevo presa coscienza che, se le lingue per Tolkien erano tanto importanti, conoscere meglio come sono nate voleva dire conoscere più a fondo come sono nate tutte le sue opere, quindi poterne osservare il cuore pulsante più da vicino. Ciò non toglie che siano belle storie, che per prima cosa il lettore si deve godere in quanto tali. Ma con Tolkien in genere non ci si ferma alla “prima cosa”, tantissimi hanno voglia di saperne di più su questo o quel particolare. Se, oltre a raccontare questo, ho potuto anche proporre una specie di versione in bella calligrafia di una ristretta selezione di appunti collezionati in venti e passa anni di ricerche sul tema, lo devo al Presidente della Società Tolkieniana Italiana Domenico Dimichino: per anni mi ha spronato a produrne quel libro, poi diviso in due per questioni di scelte editoriali. Fra i tanti che mi hanno sostenuto e accompagnato in questo percorso è stato colui che ha creduto di più nel darvi compimento con un’operazione di questo genere.

4. Possiamo aspettarci un terzo volume della tua opera? O addirittura un quarto? Oppure ritieni di aver concluso questo tuo lavoro?
In realtà ci sarebbe ancora tantissimo da mettere per iscritto, volendolo davvero fare, sul tema delle lingue della Terra di Mezzo. I due libri su Le lingue degli Elfi della Terra di Mezzo non sono che una parte introduttiva, ma c’è ancora una massa di note che si potrebbero esaminare per trarne analisi ancora più approfondite, un lavoro che a un certo punto dovrà giocoforza essere portato avanti in collaborazione con esperti di linguistica e filologia. Se STI continua a sostenermi e ci sarà un numero di lettori sufficiente a giustificare la prosecuzione della “collana”, io mi dedicherò molto volentieri alla serie dei seguiti!

5. Come abbiamo detto, sei il curatore del sito e sei stato Presidente dell’Associazione Eldalië, fino a che nel 2015 quest’ultima non ha chiuso i battenti. Sappiamo che questo sito, che invece continua a operare, è nato dall’unione di tre siti legati a Tolkien precedentemente esistenti. Puoi raccontarci qualcosa di come è avvenuta questa unione, di cosa vi ha spinto a creare Eldalië e di quali sono le vostre attività?
Sempre in quel periodo “turbolento” in cui avevo scoperto Ardalambion e tutte le altre risorse Internet a tema tolkieniano, cioè la seconda metà degli anni ‘90, mi era sorto l’impulso di tradurmi quelle pagine web per studiarmele con più agio. Realizzai però che, che se proprio dovevo darmi a un’operazione del genere, tanto valeva che poi mettessi quelle traduzioni anche a disposizione di altri. Avevo quindi contattato l’autore del sito originale, di cui erano in rete già alcuni mirror in altre lingue, chiedendogli se fosse favorevole a farmi fare il mirror italiano, così da cominciare anche in Italia a costruire un po’ di documentazione consultabile di qualità. Lui acconsentì, io mi diedi da fare. Più o meno contemporaneamente scoprii che esisteva qualche altro sito web italiano a tema tolkieniano: tra questi, a catturare la mia attenzione fu uno che si chiamava Italian Tolkien Page e aveva praticamente i miei stessi obiettivi (collezionare più scritti di qualità possibile che si occupassero di commentare e divulgare le opere di Tolkien). Inviai un’e-mail allo staff, mi risposero anche loro acconsentendo alla mia proposta e da subito facemm rete, in ogni senso. Poi, tra il 1998 e il 1999, ci dicemmo che era il momento di dare un ulteriore impulso all’opera: registrammo quindi il dominio Eldalië e in pratica fondemmo i siti di cui ci occupavamo in un’unica risorsa. Scegliemmo quel nome, tratto dal capitolo V del Silmarillion, perché la Società Tolkieniana Italiana si ispirava alla Contea, con le sue Hobbiton e l’organizzazione territoriale del tempo suddivisa per gruppi locali detti “famiglie”, così noi optammo per una visione che rimandasse alla stirpe elfica. Era una Internet completamente diversa dall’attuale: i siti web erano ancora a pagine statiche, perfino i blog non erano ancora quel fenomeno di massa che divennero poi alcuni anni dopo; era ancora l’epoca in cui impazzavano i forum e le chat. Tant’è che a un certo punto mettemmo un forum e una chat anche in Eldalië, col che si formò una web community ampia e vivace. L’associazione culturale, sorta alcuni anni più tardi, fu la naturale prosecuzione di quella che era nata come un’aggregazione spontanea. Avevamo valutato anche di entrare direttamente nella STI, ma ritenemmo che non fosse il momento: lì era ancora ben saldo al vertice il gruppo dei fondatori e tra noi e loro c’erano varie divergenze di idee su come condurre le attività di un’associazione. Comunque, era chiaro fin dall’inizio che la nostra sarebbe stata un’esperienza temporanea e che prima o poi saremmo confluiti nella “casa madre” italiana, con cui in ogni caso i rapporti sono sempre stati cordiali – anche se la dignità di “collaboratori attivi” ce la siamo dovuta conquistare negli anni! Così, gradualmente, quando ci siamo ritrovati in pratica a lavorare alle stesse iniziative, non aveva più senso mantenere due enti separati. Attualmente siamo tornati a occuparci di quella che era la nostra ambizione originaria: costruire dei sistemi di siti web a tema tolkieniano, completi della parte dei social network, focalizzati sulla qualità e completezza dei contenuti.

6. Torniamo a parlare di lingue elfiche. Siamo oggi a conoscenza di molti più termini e meccanismi di quelli che si conoscevano diversi anni fa, grazie al continuo lavoro sui numerosissimi manoscritti che Tolkien ha lasciato. Com’è cambiato l’approccio e lo studio di queste lingue nel corso degli anni? È ora più semplice studiarle rispetto ad un tempo, o proprio perché si conosce di più, hanno acquisito più complessità?
Bisogna distinguere tra gli studi esteri e quelli italiani. All’estero c’è sempre stata una grande curiosità intellettuale sul tema delle lingue, basti pensare che il primo gruppo internazionale che si occupava di elfico e dintorni fu costituito nel 1988, col nome di Elvish Linguistic Fellowship. Ancora oggi è attivo e fa da punto di riferimento mondiale per appassionati e studiosi. Fu lo stesso Christopher Tolkien a contattarne i curatori, per dare loro l’incarico di diffondere le dispense con le note di suo padre che parlavano di questioni linguistiche. Così, progressivamente, questi pionieri si affiancarono all’ultimo degli Inklings nel tentativo di decifrare la calligrafia, spesso ostica, del Professore e a dare coerenza alla massa dei suoi appunti, spesso costituiti da note sparse non semplicissime da contestualizzare e da collocare in ordine cronologico le une rispetto alle altre. Anno dopo anno sono venute alla luce nozioni importanti, che hanno permesso di ricostruire gran parte della struttura del Quenya e di fare maggior chiarezza su certi aspetti del Sindarin (J.R.R. Tolkien lavorò molto sulla lingua comune da cui discendono entrambe e mise per iscritto molti dei cosiddetti “metodi di derivazione”, i meccanismi per cui nei secoli della Terra di Mezzo cambiava il modo di pronunciare suoni e parole e si formavano lingue e dialetti: meccanismi mutuati dal reale comportamento delle lingue vive e storiche). Quindi in un certo senso entrambe le domande hanno risposta positiva: sì, lo studio ora è più facile, proprio perché l’aumento della conoscenza ha incluso concetti più avanzati i quali però hanno permesso di sistemare più tessere del mosaico. Anni addietro, per colmare le lacune in fatto di nozioni grammaticali, spesso si ricorreva a ipotesi e a paragoni con le lingue che Tolkien usava come modello di riferimento (gallese, finlandese, varie lingue germaniche): oggi per molti di quei dubbi si hanno annotazioni che li hanno risolti. Per quanto nemmeno ai giorni nostri vi sia modo di avere grammatiche complete, rimanendo quindi ancora lontani dal poter imparare le lingue elfiche al punto da potervi sostenere conversazioni anche semplici, molti dei loro aspetti si sono chiariti. Purtroppo però non si è ancora costituito nessun gruppo che riproponga in Italia questi stessi tipi di studio: da noi Tolkien è visto ancora come l’autore di letteratura di genere, non lo si conosce come brillante studioso di filologia, pertanto le sue lingue non vengono considerate come possibili casi di studio accademico.

7. Come consigli di approcciarsi allo studio delle lingue e delle opere di Tolkien ad un lettore alle prime armi? E da che libro di Tolkien consigli di iniziare per chi ancora non ha letto assolutamente niente del Professore ma, colto dalla curiosità, vuole iniziare?
Per quanto i consigli siano “doni pericolosi, anche se scambiati tra saggi” come Tolkien fa dire da Gildor Inglorion a un Frodo preda del dubbio, dirò la mia: vi sono pochi dubbi sul fatto che le lingue della Terra di Mezzo abbiano senso solo in relazione all’ambientazione della Terra di Mezzo, quindi suggerirei di iniziare a studiarle solo se si ha veramente voglia di capire a fondo l’opera di Tolkien. L’approccio che secondo me funziona meglio è partire da frasi e brani che si trovano ne Il Signore degli Anelli e ne Il Silmarillion, provando a leggerli e procurandosi la traduzione (nelle appendici ai due libri ci sono già varie note esplicative di grande aiuto, per il resto la versione italiana di Ardalambion è lì apposta!). Questo permette di iniziare a vedere “come funzionano” Quenya e Sindarin, dato che si tratta di due lingue con le proprie caratteristiche particolari diverse l’una dall’altra. Dopodiché il passo successivo è leggersi per bene Un vizio segreto, che in italiano si trova anche ne Il medioevo e il fantastico assieme a Inglese e gallese, altro saggio che fa capire assai bene in che direzione si muoveva Tolkien. In ogni caso mai affidarsi al primo testo o articolo trovato su Internet, a meno che non provenga direttamente dalla Tolkien Society o dalla Elvish Linguistic Fellowship o sia linkato da almeno una delle due. Se a questo punto uno si sente motivato a proseguire, il mio recapito email e i miei profili social sono assolutamente pubblici! Riguardo all’opera tolkieniana da cui iniziare, sono del parere di rispettare la cronologia con cui furono pubblicate a suo tempo: quindi, partire con Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion in quest’ordine, poi i Racconti che abbiamo citato prima, quindi le tre Grandi Opere (I figli di Húrin, Beren e Lúthien e La caduta di Gondolin).

8. In conclusione, qual è il tuo romanzo preferito tra quelli di Tolkien? E, mettendo da parte l’opera di quest’ultimo, quali altri autori fantasy hai letto e consiglieresti di leggere?
Sono un po’ in difficoltà nel dover fare una scelta tra le opere del Professore… facciamo che ci penso su e magari ci risentiamo tra qualche tempo? Per il resto, di fantasy vero e proprio non leggo molto al di fuori di ciò che è più popolare: per lo più coltivo letture che orbitano attorno alle fonti di ispirazione di Tolkien – quindi mitologia, storia medioevale e via dicendo. Tra i pochi romanzi coi quali mi sono cimentato vi è la serie di Martin, qualche autore emergente (tra cui prediligo senz’altro Angelo Berti) ma in particolare mi sono piaciuti i libri di Markus Heitz, che ha ideato una sua ambientazione con le tipiche razze non umane caratterizzandone alcune in un modo originale che trovo particolarmente interessante: ciò vale soprattutto per i “suoi” Nani e per la “sua” variante degli Elfi Scuri, che con perizia “filologica” denomina Albi. Concludo ringraziandovi per questa bella opportunità che mi avete offerto, spero che i lettori apprezzino e che la pagina ne conquisti (mantenendoli) sempre più. Un saluto a tutti, Anar caluva tieldanna! (NdR, in inglese “Il Sole illuminerà il tuo cammino“, letterale “Il sole splenderà sul tuo cammino“, Tengwar).

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